Alternanza scuola lavoro.
Di qualità, molti chiedono.
Ma lungo quali assi misuriamo questa qualità?
E rispetto a quali obiettivi inscriviamo questa operazione?
Se l’alternanza scuola lavoro deve rispondere a una migliore preparazione al mondo del lavoro, specificamente per i lavori meno concettuali, se serve a farsi conoscere dalle aziende, o addirittura per introiettare lo stato di precarietà e di subordinazione in cui il proprio lavoro potrà concretizzarsi io credo si stia percorrendo una strada sbagliata.
Se invece è uno spazio in cui i giovani hanno la possibilità di sperimentarsi nella relazione col mondo del lavoro, con la possibilità non solo di osservare, ma anche di portare loro contributi freschi, innovativi, se è comunque fare scuola, ma in un altro modo, allora si configurano delle possibilità interessanti, da esplorare e da progettare.
Il filone della generatività ha qualcosa da dire a questo riguardo? E più in generale rispetto a cosa vogliamo essere come Paese?
E il mondo della disabilità in che modo è coinvolto? Nella doppia veste possibile di ente in cui l’alternanza si svolge e di studenti con disabilità che si confrontano con questa dimensione, rifuggendo possibili scorciatoie di “esoneri benevolenti”. Abbiamo qualche modello da proporre?
Ecco quello che scrive Giovanni Merlo, Direttore di Ledha, lega per i diritti delle persone con disabilità:
Le strade e i percorsi possono essere diversi: per comodità possiamo ridurli a due.
La strada di preparare (addestrare?) i ragazzi al lavoro. Dal mio punto di vista una enorme sciocchezza, non solo perché limita in modo eccessivo il mandato della scuola, ma anche perché non è attuabile. Ogni ambiente sociale ha le sue peculiarità, le sue funzioni, i suoi compiti, ruoli ecc. A scuola si può (e si deve) anche lavorare, fare sport e divertirsi, ma la finalità della scuola è un’altra. Così come al lavoro si può e si deve anche studiare e divertirsi ma anche in questo caso con altro senso e finalità … Se la scuole dovesse preparare veramente e prioritariamente al lavoro allora l’alternanza scuola-lavoro dovrebbe in effetti essere solo una prova pratica di quello che accadrà poi (precarietà e sfruttamento compreso). Una enorme sciocchezza, appunto.
La seconda strada invece che i modi di crescere, imparare e socializzare possono essere molto diversi e che si possa crescere, imparare e socializzare grazie alla scuola ma fuori dalla scuola e in modalità differenti da quelle (eccessivamente cerebrali) della scuola contemporanea (almeno quella che conosco io). Allora l’alternanza può e deve diventare una opportunità, per tutti (studenti, professori e enti ospitanti). Una opportunità in più, che potrebbe diventare decisiva per molti ragazzi con disabilità che richiedono n forte sostegno per collegare il progetto educativo della scuola con il progetto di vita (a partire dai desideri di vita) e creare occasioni di sperimentazione di sè, purtroppo poco presenti nella vita dei ragazzi con disabilità.
Domande si affacciano, ne aprono molte altre e si allargano a contesti più ampi.
L’obiettivo particolare da cui sono partito è stato quello di cercare di presentare il lavoro di alternanza scuola lavoro degli studenti del liceo artistico di Arese e del liceo classico a indirizzo linguistico di Lecco, quest’anno.
Nel liceo artistico Lucio Fontana di Arese dieci storie scritte, illustrate e tradotte in simboli col modello inbook.
Questi i titoli dei libri: Colori in festa, L’orsetto Sal, Il viaggio del piccolo nano, Perla e lo zucchero filato, Super Mirko e il singhiozzo, Bobby il Dentino, Il sogno di Dante, Efilia la fata della notte, Billie pupazzo di neve e Billo l’armadillo.
Un gran bel lavoro degli studenti, in cui sono stati importanti la determinazione, l’impegno e la fiducia della loro professoressa, Pamela Passalacqua.
A Lecco, anche quest’anno, gli studenti del liceo classico a indirizzo linguistico Alessandro Manzoni hanno sviluppato il loro progetto di alternanza scuola lavoro in collaborazione con l’associazione Aspoc, associazione per lo sviluppo del potenziale cognitivo.
Il risultato di questo impegno sono altre 20 dispense monografiche, che vanno ad aggiungersi alle 36 sviluppate lo scorso anno dai loro compagni, che qui hanno vestito il ruolo di tutor, accompagnando e sostenendo lungo il percorso da loro esplorato per primi.
Anche qui fondamentale la presenza, la tenacia e la motivazione della loro professoressa, Sabrina Roma, insieme ai suoi colleghi e alle tutor Ines Figini e Annarosa Carbonelli.
Le dispense considerano quattro discipline, lingua italiana, arte, filosofia e matematica e sviluppano queste monografie: Apollo e Dafne, Achille e Ettore, L’Orlando furioso, Rosso Malpelo, Opera House, l’Empire state building, La Tour Eiffel, Il Taj Mahal, La reggia di Caserta, I sofisti, I pitagorici, Socrate, La scuola di Mileto, Il Simposio, La fisica, La statistica, Gli insiemi, I triangoli, La serie di Fibonacci.
C’è in questi lavori una grande bellezza. Quella espressa dagli studenti nella cura dei testi, delle illustrazioni, della proposta ai compagni e ai piccoli. E quella delle insegnanti, Sabrina e Pamela, insieme ai loro colleghi e a chi ha accompagnato il lavoro dei ragazzi, il senso di fiducia e di protagonismo a loro consegnato costruisce dentro di loro la percezione di un mondo in cui le loro parole e le loro azioni contano, sono ascoltate e creano connessioni e possibilità.
Dopo avere evidenziato i molti elementi positivi di queste esperienze, domande si riaffacciano nel tentativo di scrivere qualcosa sul tema dell’alternanza scuola lavoro in sè.
Certo, sono una bella cosa, ma per quanti?
Quale vocazione ha il nostro paese?
Dove stiamo andando?
Davvero tutto deve stare dentro il tema della competizione,
magari spostata a livello di Paesi,
magari spostata a livello di aree geografiche più ampie ancora o più ristrette?
E chi ne è fuori?
Domande si affastellano e il mio breve articolo di presentazione si ferma alla raccolta di immagini.
Davvero gli studenti non vogliono fare l’operaio? Questa parola così nobile è stata davvero così degradata? O forse non vogliono farlo come viene loro proposto?
A me hanno molto colpito le storie dei ragazzi del liceo artistico, una volta dato loro lo spazio per esprimerle, la fiducia nella loro capacità.
Mi ha colpito la ricerca delle parole e delle espressioni ne Il viaggio del piccolo nano nel progredire della storia, la determinazione, la stessa durata della scalata.
E l’illustrazione con il sole e la luna affiancati nella stessa immagine.
Mi hanno colpito i temi importanti affrontati nelle monografie degli studenti del liceo Manzoni di Lecco; le loro relazioni mature e profonde nell’incontro pubblico in cui prendono parola e presentano alla cittadinanza, consapevoli del loro valore, felici dell’esperienza che li ha visti protagonisti, che ha costruito in loro un riferimento, a cui tornare, su cui costruire.
Le domande, i dubbi, restano.
Ma si insinua uno spiraglio di speranza.
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