Un tempo in cui può accadere che una bambina di nove anni chieda alla mamma: «Le persone che vivono in Ucraina e hanno il Covid possono uscire quando bombardano la loro casa?», è un tempo di grande fatica emotiva e profonde angosce, impossibile da ignorare, che riguarda tutti, adulti e bambini.
In questi due anni di pandemia è diventata ancor più evidente l’importanza di parlare anche con i più piccoli delle cose che accadono, e dare loro lo spazio e il tempo per esprimere dubbi e domande, aiutandoli ad affrontare le preoccupazioni che ne destabilizzano i punti di riferimento e la quotidianità.
Abbiamo imparato il valore di comunicare con i bambini, di informarli in modo tranquillo e diretto attraverso parole semplici e realistiche, ovviamente adatte alla loro età, senza mai dare l’impressione di minimizzare il problema o far credere loro che dietro l’angolo vi siano soluzioni «magiche» e lieti fini assicurati.
E questo perché i bambini osservano i comportamenti degli adulti e intercettano le loro preoccupazioni ma hanno bisogno di parole, immagini e tempi adatti e pensati su misura per loro per poter comprendere e affrontare l’incertezza e la paura che una notizia come la guerra, nel centro dell’Europa, produce nelle loro menti.
L’idea della guerra scombussola e disorienta particolarmente i più piccoli perché contraddice tutti i principi e gli insegnamenti che sono abituati a ricevere dagli adulti, come quello di trovare modi costruttivi e pacifici per risolvere i conflitti e per esprimere la propria rabbia e aggressività.
La vera protezione da angosce come questa non passa, però, attraverso una minimizzazione degli eventi negativi o dalla scelta di tenerli all’oscuro di fatti gravi che li coinvolgono più o meno da vicino, ma dalla disponibilità e il coraggio di affrontare al loro fianco anche la più complicata delle storie con parole semplici e concetti chiari. Per quanto faticoso sia, è sempre meglio dire la verità: purtroppo, non sempre quello che accade riusciamo a comprenderlo fino in fondo né a tenerlo sotto controllo, e questo ci fa sentire preoccupati.
Anche per questo motivo parlare della guerra ai bambini significa anzitutto non negarne l’insensatezza e l’atrocità e cercare di non semplificarne e banalizzarne la narrazione, spostando piuttosto l’attenzione dei bambini verso la possibilità di rendersi utili nel loro piccolo, e spingendoli a continuare a credere nella possibilità, seppur faticosa, di trovare un accordo e far vincere la pace.
Partendo da queste consapevolezze, il gruppo di lavoro dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza della Fondazione Policlinico di Milano si è posto l’obiettivo di accompagnare i genitori e i loro figli anche in questo delicato momento di cambiamenti della Storia, attraverso una modalità narrativa semplice e accessibile a tutti.
Nasce così «Storia di una guerra», scritto da Francesca Dall’Ara e illustrato da Giada Negri, un’opera che si rivolge a lettori a partire dai 3 anni e che pone un’attenzione specifica ai bambini con fragilità e disturbi del neuro-sviluppo, attraverso una versione tradotta con i simboli della Comunicazione Aumentativa.
Il racconto è un dialogo tra un nonno e il suo nipotino, che trova il coraggio di fare domande che lo preoccupano e che, in cambio, riceve risposte semplici e sincere.
Il confronto non sorvola sulle questioni più difficili e complicate ma le affronta con empatia e pacatezza, alla ricerca di soluzioni più che di colpevolizzazioni, perché quando scoppia una guerra perdono sempre tutti e l’unico messaggio che può davvero avere senso trasmettere ad un bambino è quello di lottare per la pace.
Ed ora mettetevi comodi e buona lettura!
Nel dialogo fra Romeo e il suo nonno, nella poesia della scrittura di Francesca Dall’Ara che abbiamo imparato a riconoscere e amare, c’è la fiducia di una relazione sincera.
Come quella fra Kiriku col suo nonno, nella montagna. “Io so poche cose” diceva al piccolo Kiriku che lo inondava di domande.
Anche il nonno di Romeo sa poche cose. Come tutti noi che rispondiamo alle sue domande.
Eppure stando in quell’ascolto il nonno, Francesca e noi diamo la possibilità all’umano di dirsi, di provare a comprendere nel profondo.
E a trovare, non c’è altro modo, parole di pace.
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